schizofrenia
Spdc

Dipartimento

Glossario

Introduzione

Accedere ai servizi

  

Informazioni per i familiari

Le basi biologiche della schizofrenia

 

1. Premessa

Attualmente, nonostante che negli ultimi decenni siano state impiegate nella ricerca enormi risorse non sappiamo la causa precisa della malattia, non conosciamo se  sia dovuta ad uno  o più fattori causali, non sappiamo come questi ipotetici fattori agiscono e determinano  la sintomatologia.

A stretto rigore di termini non possiamo nemmeno parlare per la schizofrenia di malattia come comunemente inteso in medicina.

E'  più corretto parlare di disturbo.

In realtà appare sempre più probabile che ci siano più malattie (ognuna con una eziologia diversa) che oggi vengono accomunate sotto il nome di schizofrenia.

Il termine, coniato dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1908, deriva dal greco σχίζω (schizo, scissione) e φρενός (phrenos, cervello): σχιζοφρένεια, o schizophreneia, che significa "mente divisa"

Parliamo di una eziopatogenesi cosiddetta "multifattoriale", nella quale diversi fattori concorrono, in associazione, a creare un terreno favorevole al disturbo.
Ne deriva una visione "probabilistica" dell'insorgenza del disturbo, ossia un'indicazione del rischio connesso alla presenza di uno o più fattori, riassumibili in tre gruppi: biologici, psicologici e sociali. A titolo di esempio, è un fattore biologico un particolare sviluppo di un'area del cervello; è un fattore psicologico un particolare modello di personalità; è un fattore sociale (o psico-sociale) un particolare stile di relazione all'interno del proprio "sistema" familiare oppure l'essere nati in una famiglia povera piuttosto che ricca.
In realtà, tutti  questi fattori giocano un ruolo  nell'aumentare la probabilità di ammalarsi e spesso si influenzano reciprocamente. È certo tuttavia che tutto deriva dal cervello e dal suo funzionamento.
Anche in seguito alla scoperta del meccanismo d'azione dei primi farmaci antipsicotici e allo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate di indagine del cervello nell'individuo vivo (come la PET, cioé la Tomografia ad Emissione di Positroni), la ricerca si è indirizzata sempre più verso l'individuazione delle anomalie e delle peculiarità del cervello e del suo funzionamento. Sia per scoprire uno o più nessi di associazione di questi difetti con la probabilità di sviluppare una malattia mentale, e la schizofrenia in particolare,  che di mettere a punto farmaci sempre più efficaci e con meno effetti collaterali rispetto ai precedenti. Appare presumibile che tanto meglio si conoscono le alterazioni strutturali e di funzionamento del cervello di una persona con schizofrenia, tanto meglio sarà possibile scoprire nuove molecole in grado di agire efficacemente su queste anomalie, con riflessi positivi sulla dimensione psicologica e sociale della persona.
I fattori biologici (come del resto anche quelli psicologici e sociali) possono poi essere più importanti in certe fasi della vita della persona, meno in altre. Così, i fattori genetici o le complicanze della gravidanza possono giocare un ruolo importante nel creare una predisposizione del neonato a sviluppare la malattia, che poi magari (in quella persona, con le sue caratteristiche di vulnerabilità psico-fisica) viene innescata da un trauma fisico (per esempio l'assunzione di allucinogeni) o sociale (ad esempio un lutto). Si parla in questi casi di vulnerabilità alla malattia, come se fosse un grilletto che può sparare i suoi colpi anche molti anni dopo essere stato innescato.

2. Le principali teorie

Le cause biologiche della schizofrenia vengono distinte in quattro gruppi, che possono anche in alcuni casi presentarsi associati tra loro, ma che nei diversi individui assumono un ruolo predominante in un verso oppure nell'altro. In linea generale, inoltre, le varie cause sembra siano associabili a quadri differenti della malattia che, in base alla moderna nosografia (ossia classificazione), può presentarsi con una prevalenza di sintomi positivi (allucinazioni, deliri, iperattività motoria, etc.), nel qual caso si parla di schizofrenia di tipo 1, oppure con una prevalenza di sintomi negativi (ritiro sociale, povertà del pensiero, alogia o povertà di linguaggio, etc.), nel qual caso si parla di schizofrenia di tipo 2.
Riassumendo, i quattro gruppi di cause biologiche sono schematizzabili come segue:

  • Fattori genetici
  • Alterazioni nella chimica del cervello
  • Anomalie nella struttura del cervello
  • Alterazioni nel neurosviluppo

Se è vero che ulteriori studi ipotizzano anche un ruolo svolto da alcuni virus (soprattutto retrovirus) nel lasciare un' "impronta" cerebrale che può indurre la malattia, c'è un generale accordo sull'importanza primaria delle quattro cause indicate sopra. Vediamole nel dettaglio.

 

3. Fattori genetici

Una delle evidenze più antiche nello studio della schizofrenia è che il rischio di sviluppare la malattia aumenta se si ha un familiare che ne soffre, e che tale rischio diventa via via più forte quanto più simili sono i corredi genetici comuni. Naturalmente il fatto di condividere un grado di parentela ha anche una forte valenza psicologica e relazionale, da cui le teorie che hanno affermato che la malattia è il risultato di modelli di relazione patologici e disfunzionali. Ridimensionato il ruolo della "schizofrenogeneticità" dei fattori relazionali e psicologici attraverso studi effettuati sulle adozioni, oggi si tende a concordare, anche in base a quanto emerge dalle ricerche più recenti, che la base genetica esprima la vulnerabilità su cui possono poi innestarsi i fattori psicologici e relazionali. In particolare, il rischio di ammalarsi, per un parente di primo grado, è del 10%. Tale probabilità aumenta per i figli, se entrambi i genitori hanno questa malattia: il rischio sale infatti al 40%. Infine, la relazione tra struttura genetica e rischio di sviluppare la malattia trova la sua prova più evidente negli studi sui gemelli. Se infatti nei gemelli eterozigoti (ossia con patrimonio genetico differente) il rischio che entrambi i fratelli sviluppino la malattia è del 10%, in quelli omozigoti (ossia identici) il rischio sale al 40-50%.
Si tratta di cifre interessanti che però non esprimono una correlazione necessaria tra presenza di un'anomalia genetica e insorgenza della schizofrenia. Infatti la percentuale di rischio, anche nei gemelli omozigoti, è ben lontana dal 100%. Inoltre, è dimostrato il coinvolgimento di altri elementi nello sviluppo della malattia, elementi sia psicologico/relazionali che biologici.

above: PET imaging showing areas of brain activity in twins - one schizophrenic, one not. (image courtesy Dr. Karen Berman, Clinical Brain Disorders Branch, NIMH, NIH)

 

4. Alterazioni nella chimica del cervello

Gli anni '50 del secolo appena trascorso hanno assistito a una delle scoperte più importanti della psichiatria: la possibilità di controllare e ridurre i sintomi (positivi) della schizofrenia attraverso la somministrazione di farmaci chiamati neurolettici.
Di tali farmaci, conosciuti oggi con il nome di "antipsicotici di prima generazione", è stato successivamente scoperto il meccanismo d'azione, connesso a un drastico ridimensionamento della quantità nel cervello di un particolare neurotrasmettitore, la dopamina. Di conseguenza, si è ipotizzato, e l'ipotesi è stata poi confermata da molti studi internazionali, che nella schizofrenia fosse presente un'anomala quantità e circolazione cerebrale della dopamina, neurotrasmettitore che svolge due azioni principali: la regolazione dei comportamenti di adattamento e del mondo delle emozioni che accompagnano questi comportamenti da un lato; il coordinamento del comportamento motorio dall'altro. Un aumento abnorme di dopamina comporterebbe uno squilibrio nei comportamenti adattivi (mangiare, bere, ricercare la gratificazione e sfuggire ai pericoli, etc.), mentre una sua diminuzione comprometterebbe la gestione del comportamento motorio (è stato infatti dimostrato un deficit di dopamina nella malattia di Parkinson).

Lo squilibrio per eccesso di dopamina è quindi una delle cause neurochimiche della schizofrenia. Ulteriori studi hanno però dimostrato che non è solo il sistema dopaminergico a svolgere un ruolo nell'eziopatogenesi della malattia. Attraverso la messa a punto di nuovi farmaci (detti "antipsicotici di seconda generazione") volti a ridurre gli effetti collaterali dei primi (essenzialmente la compromissione del comportamento motorio) e ad agire in modo più efficace sia sui sintomi positivi che su quelli negativi, si è visto che un ruolo importante nel rischio di malattia schizofrenica è svolto da alterazioni nella quantità di un altro neurotrasmettitore, la serotonina, implicato nella regolazione del sonno e del sogno, nel controllo della temperatura corporea e nella coordinazione delle attività intestinali.

Vari studi hanno evidenziato che la serotonina ha una struttura chimica simile a quella dell'LSD, una delle più potenti droghe allucinogene, portando a ipotizzare che un eccesso del neurotrasmettitore possa essere legato alla sintomatologia allucinatoria della malattia schizofrenica.
Le teorie più recenti sulle alterazioni neurotrasmettitoriali connesse alla schizofrenia, per concludere, parlano di un ruolo importante svolto dalla dopamina (e da una sua disponibilità in eccesso), dalla serotonina e da tutto il sistema neurotrasmettitoriale cerebrale: è il sistema nel suo complesso che diventa (o è già) disfunzionale e, in questa direzione, anche il meccanismo d'azione dei farmaci tende a interessare più neurotrasmettitori in modo da riequilibrare il sistema e da evitare quanto più possibile gli effetti collaterali dovuti a un'azione troppo selettiva su un unico elemento.

Above: Decreased brain activity in schizophrenia subjects (S) compared to normal controls(N) in an fMRI study examining executive functioning. Image courtesy of Prof. Philip Ward, NISAD Cognitive Neuroscience Research Panel.

 

5. Anomalie nella struttura del cervello

Da tempo è stata dimostrata la presenza di anomalie nella struttura e nel funzionamento del cervello delle persone con schizofrenia (o, per meglio dire, di alcune tra queste persone). Attraverso tecniche di indagine e di visualizzazione cerebrale sempre più sofisticate (come la TC-Scan, Tomografia Computerizzata, o la RMI, Risonanza magnetica per Immagini, per quanto riguarda la struttura; come la RMI funzionale, o le tecniche che utilizzano radioisotopi tra cui SPECT e PET, per quanto riguarda il funzionamento, soprattutto in relazione all'analisi del flusso sanguigno nelle varie zone del cervello), è stato possibile studiare il cervello non solo dopo la morte ma anche nel paziente vivo.

In particolare, vari studi effettuati con T-Scan e RMI hanno messo in luce anomalie strutturali in molti pazienti, soprattutto asimmetrie del cervello e del sistema ventricolare dei lobi frontali e dell'emisfero sinistro, spesso correlabili con una sintomatologia di tipo negativo. A questa si associa, secondo alcuni studi, anche un'alterazione del lobo temporale sinistro (atrofia).
Per quanto riguarda il flusso sanguigno, in più dell'80% dei pazienti la SPECT mostra una sua diminuzione nei lobi frontali, mentre in generale SPECT e PET hanno evidenziato un'associazione tra valori elevati del flusso sanguigno in alcune aree e sintomi positivi, viceversa nel caso dei sintomi negativi.

Ulteriori studi effettuati con tecniche tradizionali quali l'Elettroencefalogramma (EEG) hanno a loro volta mostrato anomalie quali un'eccessiva risposta cerebrale agli stimoli (suoni ripetuti, luci intermittenti) e difficoltà nel filtrare gli stimoli in generale: il cervello di molte persone con schizofrenia sembra avere una cattiva capacità di selezionare le informazioni e di attivarsi in modo differenziale a seconda dell'entità dello stimolo, "escludendo" quelli indesiderati.
Questi dati sono confermati dagli esami post-mortem del cervello delle persone con schizofrenia. Sembra infatti diffuso un particolare deficit a carico di specifiche cellule cerebrali, gli interneuroni inibitori, che hanno una funzione di filtro rispetto agli stimoli provenienti dall'ambiente, deficit che produce un'eccessiva esposizione e vulnerabilità alla massa di stimolazioni che arrivano al cervello.
In ogni caso, anche le alterazioni strutturali e/o funzionali da sole non producono necessariamente la malattia schizofrenica, essendo per di più spesso o esito di anomalie genetiche o, come vedremo tra poco, di problemi a carico del neurosviluppo.

6. Alterazioni nel neurosviluppo

Il cervello è un organo plastico  le cui cellule si sviluppano e si organizzano in base alle indicazioni genetiche e al rapporto con l'ambiente. Un difetto nello sviluppo neurologico, dovuto a un trauma precoce o a una patologia, può in alcuni casi dare come esito la malattia schizofrenica. Si è visto in particolare che hanno un ruolo importante in questo processo alcune alterazioni dello sviluppo durante la gestazione, specie nel secondo trimestre; le complicanze della gravidanza o del parto, specie l'ipossia perinatale (ossia la mancanza di ossigeno al feto durante il parto), che aumenta di 2-3 volte la probabilità di sviluppare la malattia; eventuali malattie della madre durante la gestazione, specie malattie virali.

In ogni caso, il danno precoce non manifesterebbe subito i suoi effetti ma, in seguito alla maturazione tardiva di alcuni sistemi di neuroni (che si compie durante l'adolescenza), scatenerebbe la malattia quale esito di un'insufficiente o alterata capacità di interazione con gli stimoli ambientali, sempre più complessi e potenzialmente stressanti (rapporti sentimentali, ingresso nel mondo del lavoro, etc.). Per concludere questa breve analisi delle principali teorie sulle cause biologiche della schizofrenia, possiamo affermare quanto segue:
La schizofrenia è una malattia sulle cui cause ancora poco si sa con certezza. Gli studi sull'eziopatogenesi portano tuttavia a indicazioni probabilistiche sempre più attendibili.

  • Vari tipi di fattori concorrono ad aumentare il rischio della malattia, fattori biologici, psicologici, sociali.
  • Tra i vari fattori, un ruolo importante è da attribuire a quelli biologici (genetici, neurochimici, strutturali, di sviluppo) quali cause che creano le condizioni favorevoli all'innescarsi del processo patologico
  • La ricerca farmacologica e diagnostica, analizzando i meccanismi d'azione dei farmaci e come le varie tecniche strumentali funzionano, consente di mettere a punto strumenti e farmaci sempre più efficaci nella terapia della malattia partendo dall'individuazione delle anomalie strutturali e funzionali del cervello.

Image Source: UCLA Laboratory of Neuro Imaging, UCLA, Derived from high-resolution magnetic resonance images (MRI scans), the above images were created after repeatedly scanning 12 schizophrenia subjects over five years, and comparing them with matched 12 healthy controls, scanned at the same ages and intervals. Severe loss of gray matter is indicated by red and pink colors, while stable regions are in blue. STG denotes the superior temporal gyrus, and DLPFC denotes the dorsolateral prefrontal cortex. Note: This study was of Childhood onset schizophrenia (defined as schizophrenia diagnosed in children under the age of 13 or so) which occurs in approximately 1 of every 40,000 people and is frequently a significantly more aggressive form of schizophrenia (than regular schizophrenia that typically begins when people are aged 15 to 25 (slightly later for women) - and impacts approximatley 1 of every 100 people).

    • Coronal MR scans from a normal comparison subject (left), and chronic schizophrenic (right). Note increase in CSF in right amygdala-hippocampal complex. (image courtesy of Harvard University Schizophrenia Project

 

       


                                

     LO STATO DELLE RICERCHE AL NATIONAL INSTITUTE OF MENTAL HEALTH

     LA SCHIZOFRENIA E' UNA MALATTIA DEL CERVELLO 

     L'IPOTESI DOPAMINERGICA DELLA SCHIZOFRENIA

    SONO EFFICACI GLI ANTIPSICOTICI ? 

                                        Storia del termine SCHIZOFRENIA

Il termine deriva dal greco σχίζω (schizo, scissione) e φρενός (phrenos, cervello)

Il termine fu coniato da Eugene Bleuler nel 1911 per designare una classe di psicosi endogene funzionali. L'unità di questa classe era già stata individuata da Emil Kraepelin nel 1883 con il nome di dementia praecox.

Non vi è dubbio che il merito principale di aver "costruito" la nosografia della schizofrenia è da attribuire a Emil Kraepelin, allievo di Von Gudden che, lavorò dapprima a Tartov, in Estonia, poi a Heidelberg, dove ebbe come allievo Alzheimer, e infine a Monaco.

Per tutta la vita Kraepelin fu impegnato a studiare la malattia mentale per poterla descrivere e classificare; il suo trattato di Psichiatria, apparso in numerose edizioni, è stato un punto di riferimento per molte generazioni di Psichiatri, non solo di lingua tedesca.

La classificazione Kraepeliniana prevedeva una netta distinzione tra due grandi gruppi di malattie: la dementia praecox e la psicosi maniaco-depressiva.

Tipico della dementia praecox (in Kraepelin) è il decorso: la diagnosi contiene già la prognosi e come Kraepelin scrive nella 8ª ed. del suo trattato (1909-1913) (cit. da Callieri, 1995) "ricorrono sempre (nella d.p.) la perdita dell’unità del pensiero, del sentire e dell’agire, l’appassimento dei sentimenti più elevati, i molteplici e peculiari disturbi della volontà, con i deliri di perdita della libertà psichica e di influenzamento ed, infine, la disintegrazione della personalità, mentre le conoscenze acquisite e le capacità semplici restano relativamente integre".

Insomma pur se "non tutte queste caratteristiche possono essere dimostrate in ogni caso", all’esito finale in grave Defekt o in Verblödung non si può sfuggire.

(Ad onore del vero va ricordato che nel 1920, alla fine della sua carriera, Kraepelin riconobbe che la drastica divisione da egli posta tra dementia praecox e Psicosi Maniaco Depressiva, sulla base del decorso e dell’esito finale, non era così completamente difendibile e questo dimostra in modo non equivocabile la onestà intellettuale di questo grande psichiatra).

Ma di lui e della sua ricerca, rimane, nella cultura psichiatrica dell’epoca soprattutto il concetto di dementia praecox come quadro avente in sé una prognosi terribile e non modificabile, quella appunto del deterioramento psichico progressivo e irreversibile.

È da questo concetto che nasce, per dirla con Martin Bleuler, "il dogma della irreversibilità della schizofrenia", con gli esiti, appunto insiti nella diagnosi, in Verblödung e Defekt.

J. Garrabè, "Storia della schizofrenia", tradotto da Marco Alessandrini per i tipi della Magi nel 2001.

Spdc

Dipartimento

Glossario

Introduzione

Accedere ai servizi