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                                                                           1978 - 2018                  I 40 anni dalla legge 180   tra memoria e criticità attuali

                                         

          

La legge psichiatrica del 1904 definiva il malato di mente pericoloso a se e agli altri e di pubblico scandalo ed  intorno a questa pericolosità aveva organizzato l'istituzione manicomio deputata alla sua cura-custodia.

 La legge di riforma, la legge 180 del 1978  sancisce invece per la persona affetta da malattia mentale il diritto alla cura nella comunità, di norma in regime volontario, vincolando il trattamento sanitario obbligatorio a rigidi requisiti di legge.

Nega l'equivalenza malattia mentale-pericolosità sociale e ridà dignità alla persona affetta da un disturbo mentale, da curare come qualsiasi altro ammalato. Proibisce la costruzione di nuovi ospedali psichiatrici.

 

Per legge infatti i reparti ospedalieri pubblici, i Servizi psichiatrici di Diagnosi e Cura non possono avere più di 16 posti letto e devono essere ubicati di norma negli Ospedali generali.

           Ciò ha fatto dell'Italia il primo (e al 2018, finora l'unico) paese al mondo che ha abolito  gli ospedali psichiatrici. 

Prima della riforma dell'organizzazione dei servizi psichiatrici i manicomi erano spesso significativamente connotati anche come luoghi di contenimento sociale dei "diversi".  L'intervento terapeutico e riabilitativo scontava frequentemente le limitazioni di un'impostazione clinica che si apriva poco ai contributi della psichiatria sociale, delle forme di supporto territoriale, delle potenzialità delle strutture intermedie riabilitative.

La legge 180, una legge quadro alla quale hanno fatto seguito successivi provvedimenti attuativi ( principalmente i progetti Obiettivo Salute Mentale 1994 e 1998-2000) ha modernizzato il modello dell'assistenza psichiatrica privilegiando l'assistenza territoriale. Per ciascun paziente è stato previsto un Piano di Trattamento Individuale ed un Progetto Terapeutico Riabilitativo Personalizzato. L'obiettivo doveva e deve essere, per quanto possibile, il pieno reinserimento sociale del paziente.

Per raggiungere tale ambizioso obiettivo i provvedimenti legislativi prevedevano che il 5% del bilancio di ciascuna Azienda Sanitaria dovesse essere destinato al Dipartimento di Salute Mentale e che il numero degli operatori sanitari dedicati (medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione psichiatrica..) dovesse essere in rapporto di 1 ogni 1500 abitanti. Gli ultimi dati disponibili ad oggi (Rapporto Ministero della Salute 2016 pubblicati quest'anno 2018) connotano una realtà nazionale a macchia di leopardo.

Ci sono molti elementi di criticità.

Nel 2018 il Presidente della Società Italiana di Psichiatria, il prof. Bernardo Carpiniello, ha più volte sottolineato come l'Italia è oggi al 20° posto in Europa sia come numero complessivo di Psichiatri che come spesa per la Salute Mentale che è pari a circa il 3,5 % della spesa sanitaria totale, a fronte di numeri doppi o tripli di Paesi come Francia, Germania e Regno Unito, dove tale rapporto di spesa si colloca al 10-15 %.

Dal Rapporto del Ministero della Salute 2018 relativo al 2016 si evidenzia che in Italia solo la Regione Emilia Romagna e le Provincie autonome di Bolzano e Trento spendono il 5% del budget totale per la Salute Mentale.

Solo sei Regioni superano la media nazionale del 3,5% mentre sette sono sotto il 3%.

In sei regioni (Calabria, Molise, Abruzzo, Umbria, Basilicata e Marche) vi è una carenza di personale del 50% rispetto a quanto previsto.

 E' inevitabile che se non ci saranno investimenti aumenteranno i disservizi e peggiorerà in molte realtà territoriali   l'assistenza per gli ammalati e per le loro famiglie.

 

                                                                  

 

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